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«La riflessione non va oltre lo stato preliminare. Non si riesce a vivere oggettivamente il mondo attraverso il paragone, ma solo uscendo da se stessi, concedendo a se stessi di precipitare.» Anselm Kiefer

Fanno finta di non esserci – Simone Casetta con testo di John Berger

FANNO FINTA DI NON ESSERCI
Simone Casetta con un testo di John Berger
5 Continents  2011

Prima di iniziare a parlare di questo libro, premetto una piccola introduzione.
Questo che commento è un libro fotografico ed è opera di Simone Casetta.
Non lo conoscevo e non avevo mai visto immagini simili e il risultato a me pare bellissimo.

Voi direte, “E da dove salta fuori? Sei per caso anche tu un fotografo o ti intendi di fotografia?”
No, non sono un fotografo e a parte quei quattro o cinque nomi famosi non è che ne sappia molto. Questo solo per dire che il mio commento alle immagini non sarà tecnico, che non ne sono capace.
Ma sospetto che anche voi non sarete tutti esperti di tecnica fotografica e un libro di fotografia non è certo indirizzato solo a chi lo è, anzi.
Cercherò di raccontare quello che ho visto io, con i miei occhi e la mia testa, per quel che sono.

“E quindi?”, continuerete a chiedermi, “Da dove salta fuori?”
Eh… è successo che mi è stato domandato dalla moglie di Simone Casetta se mi faceva piacere guardarlo, leggerlo e scriverci un commento.
Il fatto è che non ci sono solo le fotografie, ma anche un testo di John Berger del quale ho recentemente commentato la monografia John Berger curata da Maria Nadotti ed edita da Marcos y marcos e quindi ho subito detto di sì, che io a John Berger non dirò mai di no.

Questa è la storia di questo commento, nel quale, come vedrete, ho finito per parlare molto di più delle immagini di Simone Casetta che del testo di John Berger, non perché non mi sia piaciuto il testo, il testo è una perla come solo John Berger sa scrivere, ma perché, come dicevo prima, io cerco di raccontare quello che vedono i miei occhi e la mia testa e, forse, dico “forse” per cercare di essere molto umile in quello che sto per dire, forse un po’ ho visto quello che ha visto John Berger quando, dopo aver visionato le immagini, ha subito offerto il suo testo per accompagnarle.
Non poteva esserci unione migliore, probabilmente, per un libro fuori dal comune e che merita di essere conosciuto per la bellezza che racchiude.

Fine dell’introduzione.
Ora preparatevi a incassare un colpo forte, ma resistete e osservate.
Iniziamo.
Lascio un po’ di spazio.

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Guardate questa fotografia.

“Scioccante!” – “Inquietante!” – “Dio mio!” – “Un pugno nello stomaco!” – “Santiddio!”
Avete avuto una di queste reazioni?
Anche io la prima volta l’ho avuta e credo sia naturale, almeno per noi, per come siamo nel nostro tempo e luogo.

Ora continuate a osservare l’immagine.
Fissatela.
Fissatela.
Fissate l’immagine, occupate tutto il vostro angolo di visuale con quell’immagine, scartate tutto il resto, il testo, lo schermo, il luogo dove vi trovate, chi vi sta attorno, le vostre mani.
Osservate l’immagine e ascoltate il vostro respiro.
Voi respirate.
Anche quell’immagine respira.
Ha il vostro stesso respiro.

È l’immagine della Morte, quella è la Morte, un viso immobile. Un viso, un corpo, soltanto un corpo, con un viso.
Siamo noi, tutti noi, è parte di noi, solo che l’abbiamo rimossa la Morte, in altri tempi non era così, per altre culture non è così.
Siamo ricoperti da una crosta argillosa e non ce ne accorgiamo.
L’abbiamo nascosta dietro le malattie, gli incidenti, la decrepitezza.
L’abbiamo trasposta sui vivi.
La Morte per noi è ciò che provano i vivi: il dolore, la perdita, la scomparsa.
Ma non è quella la Morte.
Quella è solo un’immagine che si riflette in un gioco di specchi, filtrata attraverso la nostra coscienza di vivi.
Quella che ci mostra Simone Casetta in questo libro fotografico è la Morte.

Corpi, fotografati con grande maestria presso il Museo Anatomico dell’Ospedale Forlanini di Roma.

Guardate questa ora.
Respirate e fissatela.

Bambini, quanto di più prezioso, per molti, forse per tutti, il senso di una vita compiuta.
Nel nostro mondo, al nostro tempo, nascono pochi bambini e questo anche perché pochi ne muoiono, per fortuna e per merito della nostra società.
La morte di un bambino è l’evento più tragico che possa capitare. Lo sappiamo tutti.

Però non è sempre stato così, in molti luoghi non è così, per i nostri bisnonni, o per i bisnonni di qualcuno che incrociamo per strada, non era così, erano poveri, le famiglie numerose, perché i bambini morivano, ne servivano molti affinché qualcuno rimanesse. Basta spostarsi un poco, prendere un volo di qualche ora, ed è ancora così.

Abbiamo rimosso una parte di realtà, il corpo di un bambino morto. È un corpo, anche quello, con un viso, come il nostro, come il vostro col quale state leggendo e osservando, solo che quello è solo un corpo.

Tutto questo è esposto da decenni in un museo, è indispensabile saperlo, immaginare quelle sale, le teche con i corpi in formalina che dei medici hanno voluto preservare, ripetendo un rituale vecchio di secoli; non è una pagliacciata grottesca alla Damien Hirst con squali e vitelli sotto vetro o una provocazione alla Cattelan per modaioli vagabondi tra noiosi aperitivi milanesi, cose buone per il mercato dell’arte contemporanea, la miserabile fiera delle vanità a uso di speculatori finanziari e riccastri cocainomani.
Non è neppure l’immagine di morte strappata dall’obiettivo del fotografo in un conflitto, durante una carestia o negli attimi nei quali si svolge una tragedia.
È scienza, anatomia patologica, la culla di tutto il nostro sapere medico, è l’oggetto mancante quando visitiamo quei meravigliosi teatri anatomici del Medioevo che ci sembrano gioielli miracolosamente preservati dalla furia dei secoli.
È la realtà, quella parte che noi non vogliamo più vedere.

Simone Casetta l’ha tramutata in arte; nella sua introduzione scrive che mentre visitava il museo quello che ha avvertito è stato il canto di quei corpi, un canto corale, una melodia che se si presta attenzione, gli uomini e le donne, con i loro corpi, sprigionano. Anche se sono solo corpi, corpi esposti, perché non sarebbero tali se  non ci fosse la vita di chi li osserva. Non si può osservare la Morte senza sentire il canto della Vita.
E ai corpi esposti nelle sale del museo ha aggiunto la luce che l’obiettivo ha raccolto e trasposto sulla pellicola, quel bagliore opalescente dai riflessi dorati che sprigiona dalle immagini (sulla stampa, splendida per qualità, l’effetto è evidentissimo) e colpisce gli occhi di chi osserva dopo essersi lasciato scivolare via quella prima reazione, quel “Dio mio!” che la crosta pronuncia.
Non c’è tragedia, non c’è orrore, il macabro è disciolto in quella luce d’oro che la tecnica fotografica dell’autore è riuscita a far risplendere.

C’è Amore in quelle immagini.

Sì, Amore, l’altra grande rimozione del nostro tempo, relegato a stupidi stereotipi, risolini isterici, causa di depressioni e ossessioni da sedare con dei farmaci, scambiato per il sesso, privato del sesso, censurato. Rimosso dal discorso contemporaneo.

Amore e Morte, l’indispensabile e l’inevitabile, questo siamo nella nostra parte più nobile, no?
Gli antichi saggi lo sapevano, poeti e pittori lo hanno sempre saputo. E che cos’altro è se non un atto di estremo amore unito all’immagine della morte quel capolavoro di incommensurabile bellezza del monumento funebre di Ilaria del Carretto conservato nel Duomo di San Martino a Lucca?

Eppure chi parla di amore e morte oggi viene preso per uno stravagante, quasi un poco di buono. E invece Simone Casetta ci ricorda che l’amore per le persone, uomini, donne, bambini, vecchi, chiunque, è di più di un legame, di una comunione d’intenti, di una promessa, di una costruzione e di un percorso.
È amore per la natura umana, per quell’essere che chiamiamo Uomo o Donna, per quel corpo fatto in quel modo, bizzarro quanto si vuole, anche dopo che la vita si è spenta, quando rimane la memoria.
C’è una coppia di fotografie nel libro, uomo e donna, in parte sezionati, gli organi interni esposti, secondo la tecnica dell’indagine anatomica, i sessi esposti.
L’impatto visivo è straordinario, evocano l’intero arco che descrive la vita, la nascita, le differenze di genere, l’unione di due persone, la procreazione e la fine inevitabile e comune.

Ecco il senso che io trovo in queste immagini di Morte e di Amore: lo trovo nella luce che illumina la memoria, non solo degli eventi che formano i nostri ricordi, ma di corpi che hanno avuto vita, illuminati e sospesi in un liquido che li preserva, come facciamo anche noi quando adagiamo dei corpi nei nostri ricordi e ripensiamo a chi abbiamo amato e non c’è più.

Poi c’è John Berger con le sue parole.
Il testo, del 1994, si intitola Dodici tesi sull’economia dei morti e in queste dodici tesi Berger ragiona, si interroga, percepisce e immagina i morti e il loro rapporto con i vivi. Entrambi collocati in un proprio spazio, uno senza tempo, l’altro immerso nel tempo che scorre.

Leggere le visioni di Berger e le domande che si pone e trasportarsi in quella sala contenente i vasi con i corpi immobili nella loro assenza di tempo è immediato; sembra davvero che sia stato scritto per loro, in loro presenza, osservando il candore lattiginoso della pelle, il blu del cordone ombelicale, le espressioni distese in una serenità a noi inaccessibile come quella che ha reso eterna la bellezza di Ilaria del Carretto, le mani che si abbracciano che anche a noi che guardiamo viene da spostarle come loro, attorno al torace, attorno la testa a toccarci a sentirci vivi e morti, allo stesso tempo.
Si avverte, forte, reale, tangibile, la distanza che si riduce, la rimozione imposta artificiosamente dalla cultura, dalla società, dalle superstizioni diventate consuetudini, riflessi automatici, tic nevrotici, che si sgretola.

Poiché è fuori dal tempo, la memoria dei morti può essere concepita come una forma d’immaginazione che riguarda il possibile. Tale immaginazione è vicina a (risiede in) Dio, anche se non so come.

Nel mondo dei vivi avviene un fenomeno equivalente, ma di segno opposto. A volte i vivi sperimentano il vuoto temporale, che si manifesta nel sonno, nell’estasi, negli attimi di estremo pericolo, nell’orgasmo e forse proprio nell’esperienza della morte. Durante questi istanti l’immaginazione umana abbraccia l’intero spazio dell’esperienza e supera i confini della vita o della morte individuale. Sfiora l’immaginazione sospesa dei morti.

–John Berger

Berger sente quei preziosi istanti nei quali “il tempo si ferma” come quanto di più vicino possiamo percepire dell’immaginazione sospesa dei morti e a pensarci, tutti noi abbiamo avuto di quegli istanti, “Mi è sembrato come che il tempo si fosse fermato”, puri, cristallini, rarefatti per la paura di un evento improvviso, nell’incoscienza di un sogno o in quell’istante di congiunzione di due corpi, due sguardi, due respiri, due destini.
Tutti noi abbiamo sfiorato almeno una volta l’immaginazione sospesa dei morti e abbiamo ascoltato il canto dei corpi conservati nel Museo di Anatomia Patologica.

Concludo questo che è stato uno dei commenti che più di altri ho dovuto estrarre scavando in un tumulto di sensazioni con la poesia di Raffaello Baldini, che fa da epigrafe al libro e nella versione originale è scritta in dialetto romagnolo.
Ve la riporto nella versione italiana.

Quel che sanno i morti, e non dicono niente, sanno tutto,
anche quando sei in casa, da solo, la notte,
porte, finestre chiuse, loro sono lì,
che sei andato a letto, è tardi, hai spento la luce,
sei sveglio, al buio, ti vengono quei pensieri,
che non si possono dire, loro sono sempre lì, ti leggono dentro,
ma sono buoni, fanno finta di non esserci.

–Raffaello Baldini

Note:

1) Le fotografie, di grande formato, verranno esposte nell’ambito del Festival della rivista Internazionale (http://www.internazionale.it/festival/) a Ferrara il 5-6-7 ottobre 2012. Il luogo della mostra sarà il Liceo Artistico Dosso Dossi – via Bersaglieri del Po 25/a – Ferrara.
Inaugurazione e presentazione del libro: venerdì 5 ottobre, ore 18,30.
Orari di apertura della mostra: 5-6-7 ottobre: h 10,30 – 23,00 / 8-14 ottobre: h 14,30 – 20,00.

Altre immagini sono disponibili su:
– Sito di Simone Casetta: www.simonecasetta.it
– Sito del critico Henri Peyre: http://www.galerie-photo.com/simone-casetta-it.html
– Presentazione Roma: http://www.youtube.com/watch?v=q55w62PsEsw
– L’Espresso: http://www.kataweb.it/multimedia/media/31383796

2) Per informazioni o acquisti a prezzo scontato si può contattare Martina Biondi (martina@martinabiondi.it) dell’Ufficio Relazioni Esterne.

3) Il libro oltreché disponibile presso i principali rivenditori online, dovrebbe potersi trovare (e, credo, consultare, cosa che ne vale la pena) presso le seguenti librerie:

MILANO
Hoepli, Via Hoepli 5
Librerie Rizzoli, VIa S. Pellico 8
Emme Elle, Via Moscova 52
Libreria Cortina, Largo Richini 1
Micamera, Via Medardo Rosso 19
Multicenter Mondadori, Via Dogana 2
P.D.E. Nord Assago, Via Edison 8/A, Assago
Fastbook, Via Volta 4, Trezzano sul Naviglio

ROMA
Let’s Art, Via del Pellegrino132
Librerie Feltrinelli, Via V. Emanuele Orlando 78
Librerie Feltrinelli, Largo Argentina 10/11
Melbookstore, Via Nazionale 254/255
Minimum Fax, Via della Lungaretta 90E

BERGAMO
Libreria Fassi, Via Largo Rezzara

BRESCIA
C.S.A.M. Via Piamarta 9

CREMA (CR)
Il Viaggiatore Curioso, Via XX Settembre 88

COMO
Plinio il Vecchio, Via Vitani 14

ISCHIA (NA)
Imagaenaria, Via Luigi Mazzella 46-50

LECCE
Palmieri, Via S. Trinchese 62

MERATE (LC)
Libreria Mondadori, Piazza Prinetti, 26/B

MESTRE (VE)
Don Chisciotte Libreria D’Essai, Via Brenta Vecchia

ROVERETO (TN)
Blu Libri Jobs Coop, Via Portici, 5

TORINO
P.D.E., Corso Peschiera, 321

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Questa voce è stata pubblicata il 7 agosto 2012 da in 5 Continents, Autori, Berger, John, Casetta, Simone, Editori con tag , , , .

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