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«La riflessione non va oltre lo stato preliminare. Non si riesce a vivere oggettivamente il mondo attraverso il paragone, ma solo uscendo da se stessi, concedendo a se stessi di precipitare.» Anselm Kiefer

Moscoviade – Jurij Andruchovyč

moscoviade

MOSCOVIADE
Jurij Andruchovyč
Traduzione di Lorenzo Pompeo e Grzegorz Kowalski
BESA 2003 

Questo è stato il primo romanzo di uno scrittore ucraino contemporaneo a essere tradotto in italiano e seconda opera, importante per i riconoscimenti che ha avuto, di uno degli autori principali ucraini, Jurij Andruchovyč.
Interessante in merito alla condizione dell’editoria italiana che ignora tutto ciò che non è mainstream è il commento pubblicato dai due traduttori su N.d.T. – La Nota del Traduttore sulla loro ricerca di un editore interessato alla traduzione, fino ad approdare alla piccola BESA Edizioni a cui va il merito di aver fatto conoscere un libro tanto bello quanto ignorato.

Moscoviade è del 1993 e ha il gusto denso e tossico della letteratura russa del Novecento con però la nota particolare di assumere la prospettiva di un giovane, mediocre poeta ucraino a Mosca, quindi non russo ma inesorabilmente estraneo e ostile alla tradizionale retorica nazionalista della Grande Madre Russa.

Ha molti punti in comune con autori russi diseredati, reietti, rotolati ai margini della metropoli di ghiaccio come il meraviglioso Venedikt Erofeev di Mosca-Petuski. Soprattutto, coincide la descrizione allucinata di una vita di artista che precipita rapidamente – tutto si svolge in una giornata nel caso di Moscoviade anche se si ha l’impressione che il tempo sia assai maggiore – dall’illusione ancora covata nell’ultimo tepore di una condizione ormai miserabile e degradata fino al fango nauseabondo delle fogne della città e dell’anima, terminando nell’autodistruzione finale con un crescendo di visioni paranoiche e deliranti. Il tutto, la storia, il personaggio e lo srotolarsi delle vicende affondano lentamente in un lago di vodka, di sostanze alcoliche generiche e veri e propri veleni.

Erofeev è stato maestro insuperato e insuperabile del delirio alcolico con punte di surreale genialità nel presentare gli intrugli micidiali coi quali si avvelenava.
Andruchovyč non raggiunge quelle vette epiche di devastante dissoluzione, ma il suo protagonista, Otto von F.,  giovane poeta ucraino ospite di una delle famigerate case per artisti sovvenzionate dal governo russo, covo in realtà di miserabili esistenze condotte dai celebri – nel senso che tutta la letteratura russa ne è attraversata come una spina dorsale – artisti giovani, maniacali, inconcludenti, degenerati, esistenze striscianti che contemplano il proprio fallimento e inutilità e nullità. È la tipica scena di follia artistica suicida russa che si staglia sullo sfondo dell’ottuso grigiore burocratico moscovita, la scintilla della grandezza degli scrittori russi o di tradizione russa.

In Moscoviade, come accennavo, c’è però una luce diversa rispetto agli scrittori russi dovuta all’origine ucraina dell’autore. Il protagonista non è solo un artista giovane che come un calcinaccio si stacca dal cornicione marcito della propria condizione per disintegrarsi al suolo, ma è anche un estraneo per nazionalità e radici. La prospettiva è quindi doppiamente distaccata, l’artista illuso dalla burocratica ottusità quotidiana e lo straniero proveniente da un angolo del coacervo di popolazioni e stati che sopravvive ancora alla vigilia del crollo dell’Unione Sovietica.

La trama procede seguendo l’aumentare del tasso alcolico del protagonista; incontri bizzarri tra Otto e figure stralunate che popolano il sottobosco della casa per artisti ed episodi sempre più stravolti dal delirio alcolico.
È una storia notturna, piovosa, segnata da una tinta violacea, malata, intossicata. È una discesa nel sottosuolo putrido dell’immensa capitale sovietica in via di disgregazione, la consegna del protagonista alla massa di disperati sorretti soltanto dalla vodka e ai ritrovi popolati dai rifiuti di innumerevoli etnie che rovistano tra gli gli scarti della burocrazia russa. È una storia con la quale Andruchovyč mette in scena un malessere profondo e molte volte raccontato: il senso di oppressione che la società monolitica, chiusa tra costruzioni di cemento, ricoperta da una spessa vernice grigia che annulla ogni colore e ombra, getta sui disadattati incapaci di respirare sotto quella cappa immobilizzante e per questo, come pesci che stanno soffocando, annaspano, si dibattono convulsamente, preferiscono l’autodistruzione all’agonia indefinita.

Storia mai esausta, raccontata in molti modi da molte letterature, ma i russi, in questo caso gli ucraini,  lo sanno fare con una violenza primitiva e un gusto sottile che pochi altri eguagliano.
Andruchovyč è molto bravo e Moscoviade merita di essere letto.

Mentre quelle, in cucina, si tirano i mestoli e la cassiera corre intorno con un enorme coltello affilato, tu osservi questa fila, queste stupide colonne azzurre, questi paralitici negli angoli, il martire che dorme sul davanzale, i soldati-mongoloidi nelle divise da parata che si strozzano con i panini secchi, il finocchio con i pantaloni bianchi che gira intorno a loro, la comune dei tossicomani anarchici, con un bambino di due anni sotto il tavolo, un piccolo accampamento di zingari, lo scrittore e culturologo Vanja Kajin che si è trascinato qui per materializzare il tomo di poesia La betulla ha sciolto la sua treccia, straccione e straccioni, concentrati sui resti, il segretario del partito liberal-democratico Vladimir Żirinowskij, che finisce di bere il kompot di frutta secca, un gruppo di Armeni, alcuni Azeri, due-tre Bielorussi, un mucchietto di Georgiani, un manipolo di Kazachi, un paio di Kirghisi, un po’ di Moldavi, tanti Russi, un grappolo di Tagichi, una pleiade di Turkmeni, un pizzico di Uzbeki e – è ovvio – ein bißschen di Ucraini. Perché, secondo l’ordine alfabetico cirillico, siamo gli ultimi dell’Unione. Ma per quanto riguarda il significato della nostra economia nazionale, siamo i secondi dopo la Russia. A dire il vero, però, la nostra lingua da usignolo nella categoria melodicità è la seconda al mondo. Lo hanno stabilito esperti nella melodicità delle lingue in un concorso che si è svolto a Ginevra. La lingua russa si è trovata all’onorevole trentesimo posto, che condivideva con il  mongolo e lo swahili.

Note:
– una buona recensione uscì su eSamizdat a firma di Laura Piccolo;
– Jurij Andruchovyč ha recentemente pubblicato un commento sulla crisi ucraina pubblicato da Nazione Indiana.

3 commenti su “Moscoviade – Jurij Andruchovyč

  1. Maurizio Mancini
    5 ottobre 2015

    l’accento mi è scappato

  2. Maurizio Mancini
    5 ottobre 2015

    dopo Erofeev un altra chicca acida.

    • 2000battute
      6 ottobre 2015

      Erofeev è una perla unica

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Questa voce è stata pubblicata il 8 marzo 2014 da in Andruchovyč, Jurij, Autori, BESA, Editori con tag , , , , .

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