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«La riflessione non va oltre lo stato preliminare. Non si riesce a vivere oggettivamente il mondo attraverso il paragone, ma solo uscendo da se stessi, concedendo a se stessi di precipitare.» Anselm Kiefer

Epepe – Ferenc Karinthy

epepe

EPEPE
Ferenc Karinthy
Traduzione di Laura Sgarioto
Adelphi 2015

Quando uscì mi aveva incuriosito questo Epepe perché mi pareva di aver colto un certo disagio nei commenti, come quando ci si trova davanti a una stranezza che non si riesce bene a descrivere. Avevo poi deciso di aspettare a leggerlo. Ora è il momento degli ungheresi e l’ho letto.

Il libro ha una prefazione di Emmanuel Carrère, autore verso il quale nutro una epidermica antipatia, ma nonostante questo devo ammettere che dice una cosa intelligente, perfino acuta anzi. Commenta, il francese, dicendo che Epepe è senz’altro uno strano libro, strano pure nel contesto dell’opera di Ferenc Karinthy, per il quale si potrebbe essere tentati di usare, sbagliando, l’aggettivo di “kafkiano”. Dice così. Si compirebbe un atto di pigrizia e di pressapochismo, perché al più può sembrare kafkiano lo straniamento del protagonista Budai e con lui del lettore, dovuto alla città incomprensibile nella quale misteriosamente si ritrova. Ma le similitudini con le atmosfere kafkiane finiscono qui e invece iniziano le similitudini con la tradizione letteraria del Novecento ungherese. Epepe non è kafkiano, è semplicemente ungherese, affine alla prosa di Krasznahorkai e di Kosztolányi, con le loro costruzioni letterarie opprimenti e grottesche, i dialoghi surreali, le tinte livide, il cicaleccio di fondo, l’incrociarsi di una moltitudine di personaggi pacchiani. Questi sono anche tratti tipici di molta letteratura est europea degli anni dell’Unione Sovietica, con il largo uso della metafora e del grottesco. Sono molte le radici e le influenze che si possono riconoscere senza scomodare ogni volta il vecchio scarrafone.

Odiava quella città, la odiava profondamente perché gli riservava solo sconfitte e ferite, lo costringeva a rinnegare e cambiare la sua natura, e perché lo teneva prigioniero, non lo lasciava andare, e ogni volta che provava a fuggire lo ghermiva e lo tirava indietro.

il protagonista, Budai, è un insigne linguista diretto ad un convegno accademico ad Helsinki. Sceso dall’aereo, una sera buia, sale sul pullman con gli altri passeggeri. Quando il pullman si ferma, si ritrova davanti a un hotel. In un luogo sconosciuto e bizzarro.

Nella città misteriosa si parla una lingua incomprensibile e indecifrabile anche per lui che ne conosce decine e di molte altre conosce la storia e la forma. Oltre alla lingua, incomprensibili sono i modi dei cittadini e la calca bestiale che riempie ogni angolo della città. La folla è onnipresente e oceanica, ogni cosa avviene a forza di spinte, calci e gomitate tirate per aprirsi un varco o per non finire calpestati. Tutto del luogo dove Budai si trova è incomprensibile, inspiegabile, fuori da ogni logica e senso.

Così inizia la fantasmagorica avventura descritta in Epepe, riservando molte sorprese e insinuandosi nell’attenzione del lettore che finisce risucchiata da quella storia stralunata e dalle vicende bizzarre del protagonista.

Budai ha le migliori conoscenze possibili per decifrare quella lingua e comprendere i meccanismi sociali di quel luogo. È uno scienziato, è uomo che ha viaggiato molto, è razionale e intraprendente. Prova in cento modi diversi a capire cosa gli viene detto, capire dove si trova, capire come è finito in quel luogo e come poterne venire via. Ma ogni volta fallisce. Non c’è alcun appiglio alla logica e alla razionalità. Tutto rimane completamente inspiegabile.

Si mise dunque a ricopiare, come aveva già fatto una volta, i caratteri dei testi stampati che aveva a disposizione. Superò ben presto i cento e nulla indicava che fossero finiti. Si trattava di un sillabario? I gruppi di segni gli sembravano troppo lunghi perché fosse una scrittura sillabica. Allora erano logogrammi? Proseguì nel lavoro, ma diventava sempre più difficile suddividere i caratteri e raffrontarli. Un dubbio lo assalì: e se avesse scritto più di una volta lo stesso segno?

Budai finisce i soldi e viene cacciato dall’hotel. Inizia la seconda parte della storia. La prima è quella della sorpresa, dell’incredulità attonita e dell’incontro con Epepe, l’unica persona con la quale riesce per un attimo ad avere un contatto. La seconda è invece quella dell’immersione nella folla e nella follia, senza più risorse, protezione e illusioni, Budai si trasforma in una persona diversa; la sconfitta definitiva della logica gli rende più facile e naturale accettare l’incomprensibilità e la solitudine del mondo nel quale si trova e al quale non riesce neppure a dare un nome. La storia da oppressiva diventa onirica, all’angoscia succede il fatalismo del riconoscersi un oggetto alla deriva del mondo.

La primavera arrivò da un giorno all’altro. Al mattino, quando Budai aprì gli occhi, una lama di luce obliqua e tagliente penetrava nel suo rifugio. In quella città il tempo era sempre stato uguale, grigio e nuvoloso, e sulle prime Budai credette che fosse una lampadina, e solo a poco a poco, col cuore in festa, si rese conto che era un caldo raggio di sole.
Nell’aria si respirava una specie di strana eccitazione.

Bello. Una storia affascinante e magnetica, fa sorridere e pensare, gran libro.

6 commenti su “Epepe – Ferenc Karinthy

  1. Héctor Genta
    15 agosto 2016

    Opinione personale su Cartarescu: partirei dai racconti di Nostalgia Per la trilogia io sono partito dal secondo (per me il più bello), ma se parti dal primo segui meglio le trame che si intrecciano.

    • 2000battute
      15 agosto 2016

      Grazie ancora, non avevo nessuna informazione sui racconti

  2. Héctor Genta
    15 agosto 2016

    Un libro “saramaghiano” (Cosa succederebbe se…), una storia avvincente, una metafora della realtà che Karinthy viveva e per certi versi dell’uomo in generale.

    Ci sono state e soprattutto ci sono tante perle nella letteratura che guarda verso Est. Ci vorrebbe un po’ meno pigrizia e più curiosità da parte degli editori: Krasznahorkai è già sparito dagli scaffali, Gospodinov trova ancora un po’ di spazio e Cartarescu speriamo che duri… Il fatto è che questi sono giganti, che stanno ribaltando i canoni della narrativa europea, eppure passano sottotraccia. Peccato.

    • 2000battute
      15 agosto 2016

      Di Krasznahorkai sono costretto a leggere in traduzione inglese. Uno l’ho letto, ne ho un altro. È un peccato.
      Anche di Gospodinov fatico a trovare altro oltre l’ultimo pubblicato.
      Cartarescu lo voglio leggere, sto ancora pensando se iniziare dal primo della trilogia.

  3. babalatalpa
    6 agosto 2016

    Rientro tra quanti ne avrebbero parlato con disagio, a tal punto da finire per non parlarne. Me lo regalarono l’anno scorso. Una bella prefazione, dai, bisogna ammetterlo. La storia all’inizio mi affascinò moltissimo, poi mi sembrò troppo ripetitiva. Però iniziai a contare i piani dei palazzi con più attenzione.
    Io non saprei neppure spiegarti cosa abbia di particolare questo romanzo, eppure Epepe m’è rimasto nella testa.

    • 2000battute
      6 agosto 2016

      la conta dei piani è un dettaglio ossessivo stupendo. siamo tutti un po’ Budai

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Questa voce è stata pubblicata il 6 agosto 2016 da in Adelphi, Autori, Editori, Karinthy, Ferenc con tag , , , , .

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