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«La riflessione non va oltre lo stato preliminare. Non si riesce a vivere oggettivamente il mondo attraverso il paragone, ma solo uscendo da se stessi, concedendo a se stessi di precipitare.» Anselm Kiefer

Carne viva – Merritt Tierce

Carne viva

CARNE VIVA
Merritt Tierce
Traduzione di Martina Testa
SUR 2015

A letto i bambini! Subito! Qui si parla di sesso, sesso grondante, seriale, sporco e cattivo.
Ho la vostra attenzione? Bene.
Allora parliamo del libro del momento, Carne viva, e anche della sua autrice, Merritt Tierce, esordiente texana, e in parte anche della traduzione italiana, che io non ho letto, e infine dico altre cose.
Poi parliamo del titolo, che nella versione originale, quella che ho letto io, fa Love me back, invece di Carne viva e la cosa è importante ma non per fare la solita lagna sugli editori italiani che ribaltano i titoli a loro piacimento visto che love me back è quasi intraducibile o se lo si traduce fa un suono fesso, ma per un’altro discorso che ha a che fare con i modelli letterari e i simboli e la carne viva e spesso debole dei lettori, che sarebbe come dire delle persone comuni, non essendo i lettori creature trilobate o pentapodiche. Già perché senz’altro Merritt Tierce ha giocato molto con gli specchi deformanti per riflettere immagini mostruosamente contratte o mostruosamente dilatate, anguillose o panciute e l’ha fatto per abbagliare, con i simboli, con echi innominabili, per costringere all’inconfessato, in quella zona pelvico-cerebrale nella quale il reale prende le forme dell’irreale e l’irreale s’atteggia da realtà. Poi parliamo anche di climax e anticlimax, perché i due vanno a braccetto come Carne e Amore, o come Sesso e Parole o altre gentili coppiette.

Love me backÈ un bel libro Carne viva, o Love me back, se volete. Ottima scrittrice Merritt Tierce. Poi però parliamo anche del buco nero nel quale si è infilata Merritt Tierce. Ma solo per ultimo e solo se mi ricordo di aver detto che ne avremmo parlato.

Ripeto, io ho letto la versione originale. Per questo non posso dire nulla di preciso sulla traduzione di Martina Testa, tranne il fatto che deve essere stato un lavoraccio di quelli da sudare freddo e caldo e mangiare chili di junk food. Perché la Tierce sporca la lingua, usa espressioni gergali e tic linguistici per dare carattere ai suoi personaggi da sottobosco urbano, ma anche infila giochi di parole, assonanze e frenesie lessicali che la sua protagonista, l’antieroina iconica da parcheggio di periferia americana, Marie usa con cinica sistematicità.

MARIE E LA PUTTANA SANTA

Marie, Maria, nome evocativo. Non ho trovato disamine sulla scelta del nome o sono io che me le sono perse? Strano perché di solito quando viene scelto un nome evocativo è una delle prime cose che qualcuno si sente in dovere di discutere. È il frutto succoso che penzola da un ramo basso sul quale i re-censori si lanciano come pentapodi imbizzarriti. E invece questa volta niente. Perché percome e perquando è stato scelto proprio quel nome? Che voleva dire? Che insinuava? Che che che? Paese di bigotti.
Perché si chiama Marie una che si scopa e si fa scopare in modo compulsivo da decine di persone? Colleghi, amici, amici dei colleghi e colleghi degli amici, boss e apprendisti, clienti, colleghi dei clienti e sconosciuti; nei sottoscala, in terra, nei parcheggi, in un furgone, da due, con gli spettatori, a casa, al lavoro, in luoghi pubblici, da nord verso sud e viceversa. Un rap frenetico di penetrazioni e risucchi. Perché questo fa Marie. Non fa solo questo, ma questo è quello che fa di più. Poteva chiamarsi Jenny o Megan, ma invece si chiama Marie. Tutti lo hanno notato, è ovvio. È il primo dei giochi con gli specchi deformanti.

Marie ha ventidue anni. Ha una figlia e un marito. Si è sposata quando ne aveva diciassette ed era incinta. Ha lasciato Yale quando è successo, prestigiosa università americana della futura classe dirigente. Anzi, gliel’hanno fatta lasciare. Ha lasciato il marito, nonostante fosse un brav’uomo e ha lasciato anche la figlia Ana, che vede solo sporadicamente. Fa la cameriera in ristoranti. La storia è quella della sua esistenza all’interno di questa cornice. Non ne esce mai. Non conosciamo altro, progetti, futuro, passato, eventi drammatici o felici. La storia è la storia della quotidianità di Marie, la successione di giorni qualsiasi, in un periodo di tempo qualsiasi di questo continuo imperturbato. Ed è una storia che turba. Merritt Tierce vuole che lo sia e ci riesce. Turba il sesso frenetico scandito con seraficità da ragioniere, il distacco siderale in tutti i rapporti umani, il contesto lavorativo tra efficienza maniacale e pompini casuali, i clienti volgari e maiali, i colleghi del ristorante, alcuni solidali e protettivi, almeno quando non impegnati a tirare di coca o fare sesso con Marie. Turba il rapporto familiare di Marie con il marito, il momento della separazione e turba il suo rapporto con la figlia e l’amore materno, forse solo simulato, ma al quale siamo portati a voler credere a tutti i costi.

Nessuna di queste due cose poteva cambiare il fatto che da quando eri nata mi sembrava di essere impazzita, di non essere all’altezza. Un giorno mi svegliai e dissi Non ce la faccio. Tutto questo non è reale. Sto vivendo la vita sbagliata. Successe così all’improvviso, dalla sera alla mattina, come un serpente che cambia pelle. E se la lascia dietro, strisciando via col suo sangue freddo.
(il pezzo l’ho copiato da Holden & Company,  visto che la versione italiana io non ce l’ho, non è che sia un pezzo indimenticabile, ma di  tentare una traduzione non ci penso nemmeno.)

LA PERSUASIONE DELL’IRREALTÀ

Tutto si può dire di Carne viva tranne che sia un libro realista. È pseudorealista. Il che non vuol dire che non possa essere reale la storia di Marie. Sono tutti riflessi che rimbalzano e si deformano e quello che si percepisce leggendo è proprio questa deformazione che si propaga nello spazio che separa la lettura dalla storia e gli occhi dalle immagini. Si percepisce che è in atto una forza deformante, che quindi quello che leggiamo e che vediamo non corrisponde al reale, ma la potenza di persuasione dell’irrealtà è tale che pur sapendo, vogliamo convincerci della realtà dell’irreale. Vogliamo a tutti i costi riconoscere il lampeggio dell’amore quando invece ci viene detto che è solo apparenza, erotismo quando è solo copulazione marcia, sensualità scambiata per gli effetti della coca o dell’erba, una vita coraggiosa quando è solo indegna e squallida. Sto facendo il moralista, ve ne siete accorti? Ma questa non è morale: è pseudomorale per una pseudorealtà. Marie è un personaggio irreale, come lo è la sua storia. Irreali sono le reazione che ci provoca. Carne viva. Persona viva. Marie è viva e proviamo empatia per lei. Per quanto i suoi comportamenti possano sembrare riprovevoli (verso il marito, verso la figlia) o degradanti (il rendersi un oggetto sessuale), lei produce due effetti: eccita e scalda. Forse siamo noi quelli degradati e squallidi. Io, per lo meno, voi non so, non mi permetto, per carità.

Gentili signore luminescenti di aura tantrica, siete certe di provare semplice solidarietà o empatia nei confronti di Marie? Non è che invece sentite muoversi una Marie in un vostro angolo poco illuminato ma a voi ben visibile, per quanto sideralmente distanti possiate essere da quanto fa e dice la nostra eroina? Così come la maggior parte dei signori, non vorrebbe magari ammettere, in un raro atto di generosa sincerità adolescenziale, di aver sentito un brivido di eccitazione all’idea di partecipare alla festa del sesso con Marie? Ho indovinato? Sì, ho indovinato. L’effetto di sublimazione del personaggio irreale di Marie in una creatura Marie trasformata in reale che entra nel nostro immaginario è potente, inconfondibile, una macchina letteraria quasi perfetta, si chiama pathos o anche uno potrebbe chiamarla autocostruzione di una narrazione in un sistema di simboli.

CLIMAX E ANTICLIMAX

Veniamo a climax e anticlimax, che hanno a che fare con i titoli e sul motivo per cui vanno tenuti entrambi, Carne viva e Love me back. Il primo è un climax. Lo sentite vero? Parte basso, Carne, meno di corpo, corpo in senso culinario o sessuale o corpo da frustare, corpo sudato, corpo ricoperto da umori, corpo scoperto e privato di identità, carne nuda, carne bruciata, dolore autoinfitto e carne come oggetto sessuale o di macelleria, carne odiata o succulenta, orifizi da riempire, in qualche modo, con qualcosa. Dire Carne è come indurre il sospetto di una viltà. Viva. Si sale, improvvisamente, la carne si anima, pulsa, è calda, rosea, percorsa da vene e sangue, linfa vitale, allargando lo sguardo c’è un corpo, Carne viva, climax potente che già spiana una strada narrativa. Cosa vi aspettate di leggere a sentire Carne viva? Di vita, di corpi, di pulsioni, di una lotta, di melma dalla quale riemergere. Carne viva è una redenzione e a SUR c’è gente ottimista. Aiutati che dio t’aiuta.

Love me back è quasi intraducibile. Non è amami, come ho letto da qualche parte, chi ha scritto così o non sa l’inglese o non ha capito niente oppure ha fatto un tanto al chilo. Love me è amami. Ma Love me è l’equivalente di Carne. Un’incompletezza e una banalità. Entrambe sono niente senza quello che viene dopo, back e viva. Aggiungere back vuol dire sottolineare l’esigenza o il desiderio o l’imperativo o la disperazione di ricevere indietro qualcosa che si è consegnato. Ama anche me, potrebbe essere, ma sfiora la cacofonia. Vuol dire non farmi essere una vittima, non ignorarmi, vuol dire non essere considerati solo Carne, vuol dire che l’amore è ingiusto, l’amore è senza cuore e fa male, è una cosa sporca che si mercanteggia, se io ne do a te, tu bastardo dammene un po’ indietro. Love me back è un favoloso anticlimax. Prima si sale tra l’aria fresca dell’amore ricambiato, poi si precipita nella fossa chimica dell’implorazione. Love me back è la supplica del bugiardo. Si vuole ricevere amore in cambio dell’amore che si pretende di aver dato. Ma lo si è veramente dato o è solo una menzogna? Marie è una mentitrice naturale. Le viene spontaneo, niente di quello che dice va preso per vero. Niente. I due titoli sono fantastici se presi insieme. Da soli Love me back è meglio. Ma è proprio così o di nuovo è solo un trucco degli specchi deformanti?

For Gretchen, who loved me forth,
and Evan, who loves me back.

(La dedica originale del libro. Intraducibile il gioco di parole, la ritmica e l’estetica della frase, oltre all’immagine richiamata dal back-and-forth, movimento ondulatorio come quello di un pendolo, di un viaggio di andata e ritorno o di un atto sessuale. Martina Testa, la traduttrice, si deve accontentare di una versione letterale: “Per Gretchen, che mi ha fatto | andare avanti col suo amore | e per Evan, che ricambia il mio”, la quale, evidentemente, non rende il sorriso sornione dell’originale.)

INFINE…

Mi sono ricordato del buco nero. Merritt Tierce è bravissima, ma rischia di essersi calata addosso una camicia di forza. Ora lei e Marie sono legate indissolubilmente. È la scrittrice del sesso grondante e delle scene di carnalità degradante. Quasi un genere letterario in un mondo bigotto, ipocrita e avido. Al prossimo libro tutti vorranno leggere altro sesso marcio. Se insiste è la sua fine, a meno di non trasformarsi in una Isabella Santacroce, che ha fatto di sé un personaggio ma è anche scrittrice di molto talento. Come descrive lei certi incastri pelvici tra mostruosità lombrosiane non lo sanno fare in molti. Oppure Merritt Tierce scarta e si distanzia quanto più può dal cliché della scrittrice-che-scrive-di-sesso-esplicito, ma in quel caso non solo riparte da zero ma deve scontare l’aspettativa mancata. Vedremo, ho fiducia, mi sembra una decisa questa Merritt Tierce.

Ultimissima cosa, i ringraziamenti. Questa orrenda moda americana ha preso piede non so per quale ragione. Fatto sta che finire un libro come questo e trovare pagine sbrodolanti ringraziamenti da prima comunione fa venire il voltastomaco. Purtroppo in un ebook non posso cancellarli, ma per le edizioni cartacee ho deciso questa regola:

Prima cosa da fare appena comprato il libro: controllare se compaiono i Ringraziamenti. Se compaiono, procedere insultando l’autore poi strappare le pagine corrispondenti cercando di non leggere niente di quanto riportato. Gettare via le pagine il prima possibile, eventualmente anche insudiciando la pubblica via se non c’è un bidone della spazzatura nelle vicinanze.

Peace&Love

I eat a piece of vegetarian sausage while I stand in the kitchen drinking my perfect coffee and reading over the hand-sells. I look lean and I wear a digital sport watch on my left wrist so sometimes my guests will ask me if I run. I don’t say No I’m just snorting a lot of coke right now. I say that I do run and they say I bet you don’t eat much meat do you and I say No actually I’m vegetarian and they laugh at this because I have just shown them a tray of ten pounds of raw beef carved into the different cuts of steak we offer. I hype it, the tiny mystique of my being vegetarian and working there. I say Meat is my profession, which often leads someone at the table to say Well you’re certainly a professional. I don’t say I know, because I’ve made a hundred people before you say that same thing in this same situation, I’ve made you remember your charming professional vegetarian server when it’s time for you to put a number on the tip line, and I don’t say, I’m not vegetarian because of the animals; I’m vegetarian because I hate the way meat feels in my mouth.

Mangio in piedi un pezzo di salsiccia vegetariana mentre in cucina bevo il mio caffè perfetto e leggo dei volantini. Appaio magra e indosso al polso sinistro un orologio sportivo digitale così che ogni tanto i miei clienti mi chiedono se corro. Non dico No sniffo soltanto un sacco di coca in questo periodo. Dico che corro e loro dicono Scommetto che non mangi molta carne e io dico No veramente sono vegetariana e loro ridono perché gli ho appena portato un vassoio con dieci libbre di manzo crudo disposto nei diversi tagli che offriamo. La enfatizzo, la piccola mistica del mio essere vegetariana e lavorare qui. Dico La carne è la mia professione, il che spesso induce qualcuno al tavolo a dire Beh sei di sicuro una professionista. Io non dico Lo so, perché mi sono occupata di altri cento tizi prima che tu potessi dire questa cosa in questa situazione, ho fatto in modo che tu ricordassi la tua cameriera sorridente professionale e vegetariana quando sarà tempo per te di scrivere un numero nello spazio della mancia, e non dico, Non sono vegetariana per via degli animali; sono vegetariana perché odio la sensazione della carne nella mia bocca.

(traduzione mia, ovviamente ho fatto il contrario di quel che avevo detto, invoco clemenza a Martina Testa)

3 commenti su “Carne viva – Merritt Tierce

  1. andrea
    24 novembre 2015

    Ne ho scritto anche io di questo libro:

    http://wrongand.blogspot.ch/2015/10/due-righe-su-carne-viva-di-merritt.html

    La parte che mi ha meno coinvolto è quella delle varie esperienze sessuali, molto più interessante è quella invece riguardante l’ambiente della ristorazione, che conosco bene. Erano pagine dotate di un ritmo che era lo stesso che vivo sulla mia pelle quando lavoro.

    Molto bello questo sito.
    ciao

  2. Renata
    14 ottobre 2015

    Finito di leggere ieri sera. La serie di relazioni casuali raccontate dall’inizio alla fine del romanzo, mi è sembrata più una lista della spesa che l’analisi di un tormento interiore. Mi pare sopravalutato questo libro, manca di un’anima, non ho percepito il logorio della mente, solo raramente, quando si ricollega col pensiero alla figlia. Pare voglia scandalizzare ma non riesce a penetrare nella breccia dell’indicibile, che non necessariamente è legata a una sessualità senza regole, quanto piuttosto al rifiuto dell’intimo legame con la propria figlia. Indicibile è la incapacità di amare e donarsi incondizionatamente a chi si mette al mondo. A mio parere avrebbe dovuto percorrere maggiormente questa introspezione. Analizzare il proprio dolore, la propria incapacità per motivare le sue scelte. Avevo letto fior di recensioni, ma è una lettura che mi ha delusa rimanendo, a mio avviso, superficiale.

    • 2000battute
      15 ottobre 2015

      Anche io penso che la scelta di scrivere un testo scandaloso sia talvolta forzata, ma allo stesso modo credo che sia stato sopravvalutato nei commenti il lato materno della protagonista. In molti hanno visto una sorta di redenzione nell’amore per la figlia o hanno comunque considerato il lato materno come duale rispetto alla sessualità. Io l’ho letto invece come il racconto di un distacco della coscienza dalla realtà, nel sesso, sul lavoro, nei rapporti familiari e materni. Per questo dico che Marie, secondo me, non va considerata come realistica, ma un personaggio irreale, teatrale, iconizzato e volutamente estremizzato.
      In questo senso a me il libro è piaciuto, la Tierce sporca molto la scrittura, è brava in questo, e c’è, mi pare, uno sforzo creativo personale. Poi certo, ci sono i soliti che gridano continuamente al capolavoro o al libro-evento non so se per darsi un tono o per interesse.

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Questa voce è stata pubblicata il 10 ottobre 2015 da in Autori, Editori, SUR, Tierce Merritt con tag , , , .

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