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«La riflessione non va oltre lo stato preliminare. Non si riesce a vivere oggettivamente il mondo attraverso il paragone, ma solo uscendo da se stessi, concedendo a se stessi di precipitare.» Anselm Kiefer

Il buon soldato Sc’vèik – Jaroslav Hašek

IL BUON SOLDATO SC’VÈIK
Jaroslaw Hašek
Traduzione di B. Meriggi e R. Poggioli

Feltrinelli 2008

Ecco qua narrate le gesta del celeberrimo e celebrato soldato Sc’vèik, accompagnate dalle illustrazioni originali di Josef Lada.
Beh… come commentare un libro-simbolo come questo? Non so, mi vien da pensare che qualunque cosa provi a scrivere, inevitabilmente mi dovrei preparare a sentire la voce dolce e gentile di Sc’vèik che mi dice:

Faccio rispettosamente notare, signor Kommentator, che quanto ha scritto è una fesseria. Di commenti cretini ne ho già visti parecchi, ma una minchioneria come questa non m’era ancora capitato di leggerla.

E che dovrei fare a quel punto? Adirarmi con Sc’vèik? Insultarlo? Farlo arrestare dicendogli che è un idiota, mentre lui con quello sguardo candido stampato sulla faccia tonda mi risponderebbe:

Fo umilmente notare, signor Kommentator, che quando io servivo nelle truppe di linea, fui riformato per idiozia, anzi, per essere preciso, come idiota notorio. Per questo motivo ci congedarono in due dal mio reggimento, me e per di più un capitano, un certo signor von Kaunitz. Costui, signor Kommentator, con rispetto parlando, quando andava a passeggio si ficcava continuamente un dito della mancina nella narice sinistra, e uno della manritta nella narice destra, e quando veniva con noi in piazza d’armi, ci faceva allineare come per una sfilata e ci diceva: Soldati, eh, non scordatevelo, eh, che oggi è mercoledì, e domani sarà giovedì, eh.

Posso far questo senza sentirmi ridicolo anche io come il signor von Kaunitz? Dopo aver letto Il buon soldato Sc’vèik, chi non si sente ridicolo è ridicolo e chi si sente ridicolo è ridicolo anche lui, ma forse un po’ meno. E quindi no che non posso mettermi a dire di su e di giù come un ubriacone di cappellano militare, e allora la prendo alla larga per stringere subito su un’idea bizzarra che mi è venuta.
Partiamo larghi, quindi.
Chi è Sc’vèik?

Beh, Sc’vèik è il personaggio simbolo di tutti gli anti-militaristi, anti-gerarchici, anti-borghesi, anti-vecchi barbosi paludati, anti-saccenti, anti-conformisti, anti-clericali, anti-signorebene-damedicarità, anti-funzionari statali imbolsiti, anti-soverchiatori da scrivania, anti-ignoranti che si riempiono la bocca di discorsi altisonanti.
Sc’vèik è uno dei più eroici anti-eroi della letteratura. Candido, semplice, ingenuo e per questo coraggiosissimo, perennemente sorridente e per questo oggetto delle peggiori ritorsioni, incarcerato ingiustamente e a ripetizione, ma senza mai perdere il buon umore, quasi orgoglioso della sua idiozia acclarata eppure scaltro, acuto, imbroglione senza macchia, di mestiere venditore di cani di razza quando, in realtà, affibbia bestie rognose, sciancate e figlie di mille incroci a benpensanti rimbambiti.
Sc’vèik è uno degli ultimi, un poveraccio che quando ruba non commette un furto ma gli capita una fortuna, ha tutti i difetti e le storture dei miserabili del popolo, ma gli altri, i borghesi, i saccenti, gli ufficiali, i dottori, le gran signore e i preti, sono peggio, nel mondo di Sc’vèik sono tutti peggiori, di gran lunga, sono delle vesciche ripiene e soprattutto sono ridicoli.
Sono tutti enormemente ridicoli. Ridicoli, inesorabilmente ridicoli.

Rimasto incompiuto per la morte di Hašek nel 1923, il libro è ambientato al momento dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, a Praga inizialmente, poi lungo la lenta e avventurosa tradotta delle truppe austro-ungariche alle quali Sc’vèik è aggregato.
Il suo tratto è l’umorismo. Ottocento e passa pagine di umorismo implacabile, sarcastico, micidiale, spassosissimo, gliene capitano di tutti i colori a Sc’vèik, incontra personaggi dei più balzani e racconta, Sc’vèik racconta storie e aneddoti incredibili, per ogni situazione ha una storia da raccontare dove immancabilmente un qualche squinternato si ingegna per combinare l’inverosimile.
Ma c’è di più di questo ed è quello che lo rende una pietra miliare.

C’è Sancho Panza e le Sturmtruppen.
Sc’vèik è il terzo del trio, l’anello di congiunzione.
Cervantes, Hašek e Bonvi.
Teoria ardita, da squinternato, lo so, ma Sc’vèik approverebbe, secondo me.
Per il legame con Sancho Panza, lascio parlare Hašek.

L’istituzione degli attendenti al servizio degli ufficiali è d’origine antichissima. Pare che anche Alessandro Magno avesse la sua ordinanza. È provato che all’epoca del feudalesimo tale missione era assolta dai mercenari dei cavalieri. E che cos’era Sancio Panza, lo scudiero di Don Chiscotte? Mi fa meraviglia che ancora nessuno abbia pensato a scrivere la storia degli attendenti. Essa c’insegnerebbe che il duca di Almaviva durante l’assedio di Toledo mangiò per la fame la propria ordinanza senza neppure salarla, episodio riportato dal duca nelle proprie memorie, dove si racconta che la carne dell’attendente era tenera, morbida e gradevole, d’un gusto intermedio fra quello dell’oca e dell’asino.

La storia degli attendenti c’ha pensato Hašek a scriverla dando vita a Sc’vèik, e se non si può innalzarlo fino a metterlo al fianco di quell’opera ineguagliabile e inimitabile che è il Don Chiscotte, però con Sc’vèik ha scritto una storia che è anche quella di Sancho Panza. Hašek credo tributi onore a Cervantes per il debito che ha nei suoi confronti, senza Sancho Panza, Sc’vèik non sarebbe mai esistito.

Ma cosa c’entrano invece le Sturmtruppen?
Per prima cosa, qui parliamo di geni dell’umorismo e Bonvi, mai abbastanza compianto, lo è, di livello stellare, non inferiore a nessuno, neppure a Schultz o i più celebri autori di comics.
Secondo, sono convinto, anzi sicurissimo, che senza Sc’vèik, le Sturmtruppen non sarebbero mai esistite. Forse non c’è traccia o indizio che lo provi, in forma di citazioni o altro, ma io sostengo questa interpretazione con la massima decisione.
Le Sturmtruppen sono figlie di Sc’vèik, tanto quanto Sc’vèik è figlio di Sancho Panza.

E per me, che esista un filo di genialità e di umorismo che lega Cervantes a Hašek a Bonvi è un’immagine meravigliosa che fa venire un sorriso.

Chiudo con una delle avventure di Sc’vèik e ricordo che anche Einaudi ha recentemente ripubblicato il libro nella lussiosissima e costosissima collana I millenni, con illustrazioni a colori e titolo leggermente differente da Feltrinelli: Le vicende del bravo soldato Svejk.

Mikulàšek tacque limitandosi a guardare atterrito il tenente. Se in quel momento si accorse finalmente di star seduto su tavolo, la sua disperazione dovette essere ancora maggiore, dato che i suoi piedi toccavano le ginocchia dell’ufficiale che gli stava seduto davanti.
”Insomma volete dirmi come vi chiamate?” esclamò dal basso il tenente verso Mikulàšek.
Ma questi continuò a tacere. Come spiegò dopo, era stato colto da una sorta di intorpidimento all’improvviso arrivo del tenente. Avrebbe voluto scender giù, ma non ci era riuscito, avrebbe voluto rispondere, ma non gli era stato possibile, avrebbe voluto smettere di fare il saluto, ma non c’era stato verso.
”Faccio rispettosamente notare, signor Oberleutenant,” si sentì Sc’vèik, ”che la pistola non è carica.”
”Faccio rispettosamente notare, signor Oberleutenant, che non abbiamo cartucce, e che sarà un bell’affare abbatterlo giù dal tavolo. Mi permetto di osservare, signor Oberleutenant, che si tratta di Mikulàšek, attendente del maggiore Wenzl. È uno che perde sempre la parola ogni volta che vede qualcuno dei signori ufficiali. Si vergogna proprio di parlare. Come dico, è per l’appunto una meschina bestia, un bolso. Il signor maggiore Wenzl lo pianta sempre nel corridoio quando va in città, e lui gironzola come un derelitto nella baracca passando da un attendente all’altro. Avesse almeno motivo per temere qualcosa, ma invece non ha combinato niente di male.”
Sc’vèik sputò, e dalla sua voce, e dal fatto che trattava Mikulàšek da animale, si avvertiva il suo completo disprezzo per l’inettitudine dell’attendente del maggiore Wenzl e per il suo comportamento tutt’altro che marziale.
”Permetta,” continuò Sc’vèik, ”che gli dia un’annusata.”
Sc’veik tirò giù Mikulàšek, che continuava ancora a guardare il tenente con occhi inebetiti, e, depostolo a terra, gli annusò i pantaloni.
”Ancora no,” dichiarò, ”ma sta già cominciando. Debbo buttarlo fuori?”
”Buttatelo fuori, sì!”
Sc’vèik condusse nel corridoio il tremolante Mikulàšek, chiuse la porta alle sue spalle e gli disse: ”E così, scemo che non sei altro, ti ho salvato la vita! […]”

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Questa voce è stata pubblicata il 7 luglio 2012 da in Autori, Editori, Feltrinelli, Hašek, Jaroslav con tag , , .

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